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Nel mondo di Ben Lerner

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Ben Lerner

Questo pezzo è uscito su Il Mucchio. (Fonte immagine)

Tra il settembre e l’ottobre del 2010 la galleria d’arte contemporanea White Cube – prima di chiudere, due anni dopo – ospitò la première di The Clock, opera dell’artista visuale Christian Marclay, un lungometraggio della durata di 24 ore, tributo al tempo e al cinema. Ecco cos’era: un collage di scene (quel genere che fa Blob, per intenderci) tratte da film di ogni epoca, in cui sul set compaiono orologi che segnalano l’orario di un momento particolare. Ma Marclay non si fermò qui, perché gli orari di The Clock erano sintonizzati sul tempo reale, o perlomeno sul fuso di Londra: per cui uno spettatore che fosse entrato in sala alle 16.07 avrebbe trovato sullo schermo Robin Williams in One Hour Photo, con l’orologio che indicava esattamente le 16.07. Oppure, trovandosi sulla poltrona alle 22:04, si sarebbe imbattuto in Michael J. Fox nei panni di Marty McFly, con un fulmine che colpisce l’orologio presente nel film in quell’istante – consentendo a Marty di ritornare nel suo presente, il 1985.

Esattamente l’attimo a cui avrebbe voluto assistere Ben Lerner, tanto che il titolo originale di Nel mondo a venire è proprio 10:04. Poco importa se il protagonista del libro (un autore di nome Ben Lerner, il cui primo romanzo ha avuto un discreto successo; mentre un suo racconto apparso sul New Yorker ha destato ancora più attenzioni tra la critica specializzata – esattamente quello che è accaduto al Ben Lerner reale) non riesce ad assistere alla scena, per colpa di un treno perso dalla sua accompagnatrice, Alex. Più probabilmente, parte di uno dei significati più reconditi che risiedono in questo libro sta proprio in quel treno mancato. Dopotutto, Ben Lerner è un poeta… e se questa recensione può apparire cervellotica, c’è da assicurare che il romanzo lo è molto meno.

Il tempo, il flusso ininterrotto del tempo, domina Nel mondo a venire in ciascuna linea della sua espansione narrativa: lungo questo asse, Lerner fa in modo che s’innestino altri temi, digressioni avvolte di volta in volta in un futuro minaccioso, o ricco di promesse, o in improvvise sterzate verso il passato. L’ossatura più visibile del romanzo si regge sulla decisione che prendono l’Autore e Alex di concepire un figlio attraverso l’inseminazione artificiale – è Alex a volerlo, e l’Autore decide di mettere a disposizione dell’impresa “il sostanzioso anticipo” per il suo secondo romanzo (proprio quello che stiamo leggendo adesso); uno dei momenti migliori di Nel mondo a venire è il dialogo immaginario che l’Autore ha al parco con quella che potrebbe essere sua figlia… le domande di lei, le risposte via via più impacciate di lui.

Un altro nocciolo filosofico alla base di Nel mondo a venire sta nell’identità. Per chiarire meglio il concetto, Lerner introduce la storia di una sua conoscente che scopre solo in età adulta di aver avuto un padre diverso – per origini etniche e sociali – da quello che ha sempre creduto, una rivelazione che obbliga la donna a rivedere sé stessa nella sua interezza: un paradosso esistenziale-filosofico a tutti gli effetti. Ma c’è dell’altro a fare di Nel mondo a venire una delle opere più interessanti della narrativa americana di questi anni. C’è una New York allucinata in cui s’annunciano uragani che potrebbero spazzare via la città, alterando le relazioni sociali e la stessa economia (“Un altro storico uragano non era riuscito ad arrivare, come se vivessimo fuori dalla storia o stessimo scivolando fuori dal tempo”). Ci sono cricche di intellettuali tanto progressisti quanto ipocriti, artiste imprevedibili, visioni  spettrali nel deserto americano, studenti sul punto di implodere. 

Implosione, appunto. Quello che accadde nel 1986 al Challenger, lo Space Shuttle che andò in frantumi a pochi istanti dal decollo. Un episodio che colpì Ben Lerner, come tutti i bambini americani che assistevano all’impresa in diretta televisiva, e che assume nel romanzo una portata metaforica centrale. “Non dimenticheremo mai né loro né l’ultima volta che li abbiamo visti, stamattina, mentre si preparavano per il viaggio e ci salutavano con la mano e sfuggivano agli arcigni vincoli della terra per toccare il volto di Dio”. Così chiuse il suo discorso alla nazione il presidente Usa in carica.

Ronald Reagan – o meglio, la sua ghost writer – rubò questa frase a un poeta che a sua volta l’aveva rubata ad altri poeti.

 

Ben Lerner
Nel mondo a venire
Sellerio
Traduzione di Martina Testa


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